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L'annosa questione del free ed il tentativo di cambiare paradigma
Se, come me vi interessate di archeologia informatica, vi sarete certamente imbattuti nell'espressione software di pubblico dominio che voleva essere una traduzione più o meno letterale dell'inglese Public-domain software. Fino alla fine degli anni '70 negli Stati Uniti il codice di programmazione non aveva alcun tipo di protezione legale per cui era prassi che i sorgenti fossero liberamente scambiati dagli utenti e che su di essi l'autore non potesse vantare particolari diritti esclusivi, proprio come avviene per le opere letterarie che cadono nel pubblico dominio.
L'espressione divenne forviante quando nuove norme applicarono al codice di programmazione tutele simili a quelle previste dalle leggi sul copyright. D'altro canto anche i metodi di sviluppo del software stavano rapidamente cambiando e molto software iniziò a circolare direttamente in forma compilata. Il vuoto espressivo che ne derivò venne colmato in diversi modi, tanto che i vari termini in -ware (freeware, shareware, trialware, cardware, etc.) si possono in gran parte far risalire agli anni '80, se non altro nel significato che gli attribuiamo attualmente.
In alcuni ambienti accademici tuttavia, si continuava a rimpiangere il vecchio paradigma del software di pubblico dominio, ed un gruppo di hacker del Massachusetts Institute of Technology decise di riportare in auge quel modello dotandolo dei caratteri giuridici necessari per muoversi nel nuovo quadro normativo. Questo modello prese infine il nome di free software dando vita ad una ormai trentennale ambiguità che è croce e delizia di tutto il movimento che vi si è costruito attorno. Motivo del discutere è la parola free che in inglese-americano può essere intesa come gratuito o anche come libero.
Il free software dunque vive questa ambivalenza: tra gli utenti più competenti quel free riguarda la libertà di studio ed utilizzo del software mentre tra le masse informatiche significa semplicemente che non va pagato.
Una questione in verità quasi esclusivamente anglofona, dato che in altre lingue questa ambiguità non esiste o comunque è molto più sfumata. Gli equivalenti termini italiani di software libero e software gratuito ad esempio non creano alcuna incertezza interpretativa.
Fatto sta che per gli anglofoni la questione è spesso tutt'altro che risolta tant'è vero che da alcuni anni sta ricevendo un certo consenso la sostituzione di free con libre sia per l'identificazione del movimento nel suo complesso sia per la denominazione di specifici progetti. Libre funziona ovviamente bene sia in Spagnolo che in Francese ma al tempo stesso ha un suono inconsueto per gli anglofoni (e tutto sommato anche per gli italofoni) . E se pensate che tutto sommato il nome di un prodotto non è poi così determinante, beh pensate alla Volkswagen Jetta o alla Hyundai Sonata.
E se dunque l'optimum non si è ancora trovato, nulla vieta di tentare ancora. Una tendenza che mi sembra di poter dire si stia molto diffondendo è quella che rimpiazza free con ethical, rapidamente abbracciato anche in Italiano con l'equivalente etico/a. Espressioni come software etico, progetto etico, servizio etico sono diventate abbastanza frequenti e nella maggior parte dei casi sono impiegate per marcare la distanza rispetto agli equivalenti commerciali in senso canonico. Un prodotto etico si pone cioè custode di una scala valoriale, non necessariamente è privo di un intento commerciale ma questo, se presente, viene perseguito con metodi non aggressivi.
Uso espressioni volutamente soffuse perché al momento è difficile definire un comun denominatore che descriva una sorta di movimento etico. Probabilmente i tempi non sono ancora maturi per questo passo ulteriore, anche se non mancano tentativi di formalizzare quanto meno una base minima di intenti e di obiettivi.
Funzionerà? Tra breve ci ritroveremo a parlare comunemente di software etico? Difficile dirlo. L'etica è per sua stessa natura un terreno scivoloso che varia da paese a paese e che muta costantemente nel tempo. L'essere un concetto a tratti sfuggente non giova di certo alla sua assimilazione; d'altro canto è innegabile la sua forte attrattiva e la capacità di fare da cappello ad approcci in parte differenti.
Sperando che un uso troppo disinvolto non finisca per svuotarne il significato.