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La Rete degli umani e la Rete dei bot [39.22 - 01.10.2021]

Anno 2007, il giornalista Sergio Maistrello pubblica per Tecniche Nuove il libro La parte abitata della Rete; Siamo probabilmente all'apice del successo della blogosfera, un diffuso senso di agorà digitale pervade l'aria e le relazioni umane veicolate dalla Rete sembrano la strada per una Internet di nuova concezione. L'opera è un viaggio tecnico ma anche umanistico in quegli spazi della Rete che più di altri si erano dimostrati ospitali per la natura sociale e collaborativa degli essere umani. Sembrava a molti -me compreso- l'inizio di qualcosa di nuovo, di un percorso inedito e dal potenziale inesplorato.

Come spesso accade, stavamo sopravvalutando i nostri meriti e sovrastimando le nostre forze. Ma cosa ancor più grave fingevamo di non vedere il marcio che si nascondeva dietro le colorate interfacce da cui regalavamo al mondo i nostri pensieri. Non prendevamo in considerazione che la natura umana non è fatta solo di socialità e spirito di condivisione ma anche di cattiveria gratuita, invidie, ambizioni, avidità.

E così, lentamente, le cose iniziarono a sfuggirci di mano. Cominciarono le piattaforme di blogging che dopo gli entusiasmi iniziali dovettero fare i conti con modelli di business inconsistenti e con la difficoltà intrinseca di dover chiedere denaro per cose che fino ad allora erano state offerte gratuitamente. I piccoli chiusero, i grandi fagocitarono tutto il resto. Molte perle di rara bellezza scomparvero assieme alle piattaforme che le ospitavano. Altri utenti, più combattivi, si lanciarono in spericolate azioni di conversione per spostare tutto verso nuovi lidi. Ma le reti sociali costruite negli anni si spezzarono lo stesso. Gruppi affiatati e costruttivi si dissolsero in una miriade di solisti isolati. Venne meno la dimensione locale/linguistica/tematica e ci si ritrovò tutti in un mare indistinto alla ricerca di qualche punto di riferimento.

I commenti e le condivisioni, elementi che avevano avuto un ruolo determinante nell'artificiosa definizione di web 2.0, divennero rapidamente armi a doppio taglio. Se inizialmente appagavano l'ego degli autori e rafforzavano il senso di comunità, in pochi anni divennero megafono per l'aggressività e gli sproloqui di una nuova specie incapace di articolare pensieri propri e dunque facilmente soggiogabile dalle posizioni più estreme. Una riedizione continua di quel settembre eterno che è croce e delizia di una Rete sempre avida di nuovi utenti ma anche sempre più povera di consapevolezza tecnica. Un male necessario forse, ma anche il segno di una deriva i cui effetti non si sono ancora esauriti. Gli spazi fino ad allora apparentemente illimitati, cominciarono rapidamente a contrarsi. Giornali e grandi gruppi tecnologici si lanciarono in frettolose retromarce, gli indipendenti faticarono sempre più a tenere in piedi i servizi, affossati da un business improduttivo. In breve tempo l'idea del blog come diario personale divenne obsoleta, superata da una nuova ondata modaiola intenzionata a farne uno strumento di business. Non più pensieri, storie, idee ma marketing; non più spazio sociale ma vetrina per la propria immagine; non più area di discussione ma vettore per fidelizzare clienti. Non per tutti ovviamente, ma la linea dominante divenne questa e ben poca resistenza si poté opporre.

Con questi nuovi paradigmi alle spalle, a cambiare fu anche la scrittura. L'approccio commerciale al blog richiese metodi nuovi, una scrittura non più orientata all'espressione del proprio pensiero quanto all'appetibilità per i motori di ricerca. Quell'ossessivo ripetersi di parole chiave in rigoroso ordine, quel modo assurdo di titolare, quelle frasi brevi e monotone sono frutto di questo modello in cui il destinatario dell'informazione non è più un lettore umano ma lo spider dei motori di ricerca; un algoritmo da assecondare nei suoi capricci, nelle sue idiosincrasie, nel suo strapotere. Un modello in cui le persone sono declassate all'indietro, semplici numeri a cui rifilare un blocco pubblicitario ogni poche righe, agnelli sacrificabili alle smodate voglie di tracciamento e profilazione dei nuovi giganti della Rete.

Per qualche tempo la desertificazione degli spazi sociali in rete trovò una forma di compensazione nei nuovi social network, destinata tuttavia a dimostrarsi l'ennesima illusione. Una chimera appesantita dalla struttura chiusa e centralizzata di questi spazi che per loro natura tendono ad imprigionare gli utenti piuttosto che favorirne le interazioni con il resto della Rete. Ma questa, come si suol dire, è un'altra storia.

Torniamo dunque al nostro racconto. Il blog, lo strumento di pubblicazione più accessibile ai non informatici, ridotto a contenitore di articoli acchiappa click. La scrittura, tanto tecnica quanto creativa, piegata alle richieste dei motori di ricerca. L'interazione umana relegata nelle gabbie dorate dei social network o nel deep web delle app di messaggistica. Quale mai potrebbe essere il passo successivo? Natura abhorret a vacuo diceva Aristotele, e lo stesso probabilmente si può applicare alla Rete.

Il venire meno di contenuto umano nella Internet aperta non ha portato a una rarefazione della densità dell'informazione ne ad una sua maggiore perduranza temporale. Quel vuoto è stato rapidamente colmato da nuove entità, intelligenze artificiali capaci di simulare sempre più efficacemente la scrittura umana ed al tempo stesso enormemente più prolifiche, instancabili, per certi versi insaziabili. Chi segue anche distrattamente il mondo della tecnologia sa bene che da alcuni anni ormai reti bayesiane, machine learning, intelligenza artificiale non sono più semplici parole esotiche dal suono futuristico ma la nuova frontiera dell'informatica. E sono già pienamente tra di noi. Le incontriamo nei market che sembrano sapere esattamente ciò di cui abbiamo bisogno; ci parliamo quotidianamente attraverso dispositivi dall'aria innocua; più dietro le quinte sostituiscono l'intervento umano in un crescente numero di processi decisionali; ed hanno iniziato anche a scrivere...

Probabilmente ci avrete fatto caso anche voi. La quantità di contenuto generato automaticamente su Internet ha probabilmente surclassato di alcuni ordini di grandezza quello di origine umana. Ma non è solo una banale questione di quantità, bensì anche di forma. Gli articoli prodotti da intelligenze artificiali hanno ormai l'aspetto e la struttura di quelli generati da una mente umana. Sono ancora relativamente semplici da individuare perché privi della complessità stratificata della mente, ma allo stesso tempo il divario si accorcia rapidamente ed inesorabilmente. Fatichiamo sempre più a distinguere un assistente virtuale da un operatore umano; una guida creata da un bot da una stilata da un esperto; una presenza virtuale da una fisicamente presidiata.

Incontriamo queste AI nella quotidianità della nostra interazione con la Rete. In quelle SERP farcite di risultati apparentemente coerenti che una volta aperti si dimostrano mere traduzioni automatiche di documenti di cui non si riesce più a risalire all'origine. Perfino utili nella loro meccanicità. E allo stesso tempo degradate di qualità, palesemente inconsistenti nei dettagli, incollocabili su una linea temporale che ne certifichi il valore attuale. E ancora incredibilmente funzionali alle richieste dei motori di ricerca tanto da scalarne facilmente le posizioni.

è una esperienza abbastanza desolante per chi come me ha memoria di come fosse la Rete solo pochi anni fa. Delle scoperte che un buon motore di ricerca poteva veicolare e delle persone che avevano lavorato per metterle a disposizione. In questi giorni sto rivedendo Spazio 1999, una serie tv degli anni '70 a tema fantascientifico coprodotta dalla Rai (sì, dalla Rai!). Cercando informazioni su un episodio che mi ha incuriosito più degli altri, e scendendo nei meandri delle SERP dei motori di ricerca sono arrivato su questo sito di un appassionato. Tutto è cristallizzato da molti anni in una sorta di capsula temporale digitale; nel sorgente spicca ancora quel Microsoft FrontPage che per anni abbiamo bullizzato come un insulto agli standard del Web, ma che in ogni caso ha permesso a tante persone di condividere le proprie passioni in anni in cui il concetto stesso di content management system era roba riservata agli addetti ai lavori. Ho girato un po' in quelle pagine rimanendo impressionato dalla quantità di materiale raccolto ed ancora di più dall'impegno con cui è stato organizzato e presentato. Un simbolo, nel suo piccolo, della differenza a volte incolmabile tra ciò che nasce per passione e ciò che nasce per soddisfare dei requisiti economici.

Dunque, la ricerca di quella parte abitata della Rete da cui siamo partiti è oggi un percorso più scosceso e selettivo. Le città digitali si sono rarefatte, le agorà si sono svuotate, i ritrovi sono sempre più spesso invasi dalle intelligenze artificiali. Viviamo immersi in una sensazione di iperconnessione ma forse siamo più soli che in passato. Esiste però una resistenza, esistono aree della rete in cui permane un presidio umano ed un sentire costruttivo. Esistono sotto-reti che si reinventano di continuo per non rinunciare a quel sottile spazio di libertà che davamo per acquisito e che invece rischiamo di perdere. Magari ne riparleremo in uno dei prossimi messaggi in bottiglia affidati a questo oceano :)