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La radio DAB è già su un binario morto? [39.21 - 15.09.2021]

Quando per imporsi una tecnologia ha bisogno di una norma di legge, si possono trarre almeno due conclusioni: la prima è che detta tecnologia è probabilmente assai meno innovativa di quanto si voglia lasciar intendere; la seconda è che la stessa utilità di questa tecnologia è percepita come marginale dagli utenti che dovrebbero adottarla. Bentornati su Trentanove - La Rete che verrà il cui incerto cammino riprende oggi con una digressione tecnologica (anche se come vedremo alla fine la Rete c'entra comunque).

Sono storicamente molto frequenti i casi in cui un cambiamento tecnologico è innescato da una precisa volontà politica. E di per sé non c'è nulla di sbagliato in questo approccio che non fa altro che tradurre in atti la funzione di indirizzo che è propria dei governi e delle maggioranze che li sostengono. Ne abbiamo avuto una prova su larga scala a cavallo tra il 2008 ed il 2012 quando si è concretizzato il famigerato switch off dalla vecchia televisione analogica al nuovo digitale terrestre. Un piccolo "bagno di sangue" per milioni di italiani costretti a cambiare televisore, aggiungere un decoder a quelli esistenti e familiarizzare con nuove logiche ed interfacce. Un periodo di "vacche grasse" invece per negozi di elettronica e tecnici del settore.

Con in mezzo un decennio possiamo forse trarre qualche bilancio di quella esperienza. L'offerta dei canali è aumentata? Sicuramente sì, ma quasi esclusivamente appannaggio dei grandi gruppi editoriali. L'offerta di contenuti è cresciuta? Sì ma in misura molto minore alle maggiori capacità trasmissive: in realtà gran parte dei palinsesti sono riempiti da infinite repliche di repliche con l'unico vantaggio di poter vedere alcune produzioni di nicchia ad orari decenti. Il resto è stato per lo più invaso da "spazzatura" mediatica presa di peso dagli USA e doppiata alla meno peggio prima di darla in pasto al pubblico. Meglio o peggio dunque? Difficile rispondere in termini assoluti.

Ciò che invece possiamo affermare con una certa tranquillità è che il passaggio al digitale terrestre ha rotto un patto tra legislatore e utenti che andava avanti fin dal debutto del servizio televisivo negli anni '40 e basato sul principio di retro-compatibilità. Tutte le innovazioni introdotte negli anni -dal colore, alla stereofonia, al teletext- furono sempre progettate in maniera additiva in modo da consentire ai vecchi apparecchi di continuare a svolgere le funzioni che erano in grado di gestire, ignorando le altre. Con il Digitale terrestre questo accordo silente si è improvvisamente spezzato e non è forse un caso se dopo pochi anni siamo di nuovo alle prese con la necessità di cambiare televisori o di aggiungere nuovi decoder per quello che viene chiamato pomposamente "Digitale terrestre di seconda generazione". Una ulteriore evoluzione imposta per liberare frequenze al il ricco mercato del 5G e che non apporterà grandi miglioramenti al settore televisivo.

Ora, un percorso in parte simile è in corso per la radiofonia ed incentrato sulla tecnologia DAB/DAB+ che dovrebbe segnare la transizione dalla vecchia radio FM alla nuova radio digitale. In questo caso però il percorso normativo che molti vorrebbero forzare incontra sul proprio cammino alcuni ostacoli non indifferenti. Il primo è di natura strettamente tecnica. Mentre può avere senso collegare un decoder per aggiornare un televisore, la stessa operazione diventa ridicola per la gran parte degli apparecchi audio. Ridicola perché mancano quasi sempre le interfacce; ridicola perché i costi del decoder potrebbero facilmente superare il valore della radio; e ridicola soprattutto perché una grande parte degli apparecchi radio è nata per essere portatile.

In altre parole forzare il passaggio al DAB significa sostanzialmente rendere inutilizzabile la gran parte dei ricevitori radio esistenti inclusi quelli presenti in un gran numero di telefonini e smartphone. Conseguenza prevedibile di una simile forzatura sarebbe probabilmente un calo degli ascolti radiofonici, favorito dal fatto che per la prima volta nella storia esiste una rete altrettanto capillare in grado di fornire contenuti simili. Lo avrete intuito, mi riferisco alle ormai universali connessioni mobile a basso costo che possono essere utilizzate per accedere ovunque alla programmazione audio o musicale di mille servizi diversi, da Spotify in giù, incluse le versioni in streaming delle stesse radio analogiche.

Se però nell'etere i grandi network radiofonici operano in una condizione protetta, nella Rete si trovano a competere con un numero molto maggiore di soggetti nati digitali ed in grado di offrire servizi molto più vari e personalizzabili. In sostanza dunque chi spinge per lo switch off dal FM al DAB cerca anche soluzioni che non azzoppino il proprio business e non obblighino le radio a competere su un mercato assai più esteso. Trovare un percorso che tenga insieme queste due priorità non è affatto semplice e si traduce in piccole mostruosità normative. Tipo quella che impone ai produttori di automobili e smartphone di includere un ricevitore DAB nel caso decidessero di offrire un apparecchio radio nei loro prodotti. Una norma che non ha posto grandi problemi ai carmaker ma che invece è diventata problematica sugli smartphone. DAB è infatti solo uno degli standard della radio digitale, utilizzato prevalentemente in Europa ed addirittura già dismesso in altre nazioni. Questa condizione fa si che un produttore debba creare una variante apposita di uno smartphone per il mercato europeo caricandosi anche i relativi costi di sviluppo ed i maggiori oneri del chip DAB rispetto a quello ormai estremamente economico necessario per il segnale FM. Risultato? In molti smartphone recenti è presente il chip FM ma viene disabilitato nel firmware destinato ai mercati europei. Formalmente dunque lo smartphone non ha la funzione radio e dunque non ha l'obbligo di supportare DAB. Notevole risultato vero?

La storia del DAB è piuttosto lunga tanto che le sue origini si ritrovano addirittura negli anni '80. La prima formulazione dello standard utilizzava il formato audio digitale MP2 che era all'avanguardia all'epoca ma che ha progressivamente perso terreno rispetto a formati più moderni. Nel 2006 è arrivato quindi il nuovo DAB+ basato sul più efficiente AAC che tuttavia ha introdotto un nuovo livello di incompatibilità con i vecchi ricevitori. Nonostante oltre 30 anni di sviluppo, il DAB è ancora lontano dal poter rimpiazzare le classiche trasmissioni FM. Esistono grandi problemi di copertura del segnale ed esiste soprattutto quella resistenza tecnologica a cui ho accennato: è facile che ognuno di noi possegga più di un apparecchio radiofonico, ma quanti sono compatibili con il DAB? Nel mio caso (che non pretendo sia rappresentativo di nulla) nessuno.

La situazione è quindi parecchio contorta. I tre raggruppamenti che in Italia si occupano di DAB (la Rai da solista, DAB Italia ed EuroDAB) hanno fatto investimenti importanti nel settore ma dovrebbero aumentare ancora molto gli sforzi per offrire una copertura completa del territorio. D'altro canto DAB/DAB+ soffrono la concorrenza dei segnali FM che hanno un bacino potenziale di ascoltatori più vasto ed una copertura decisamente più uniforme. Spingere verso il DAB con ulteriori provvedimenti di legge o addirittura fissando una data per lo switch off significa assumersi un rischio ben più elevato di quanto fu con il digitale terrestre televisivo. E d'altro canto continuare a procrastinare dopo tre decenni di sperimentazione significa probabilmente portare il DAB su un binario morto. Il tempo necessario ad una adozione spontanea dei nuovi apparecchi DAB potrebbe essere così lungo da consentire allo streaming su Internet di soppiantare la radio tradizionale nelle preferenze di gran parte del pubblico. Del resto questo settore corre a velocità folli: negli ultimi anni le piattaforme di streaming video sono diventate concorrenti ingombranti per la televisione arrivando a sottrarle persino il calcio ed i grandi eventi sportivi. Difficile pensare che per la radio lo scenario possa essere molto diverso.

Forse il maggiore limite della tecnologia DAB/DAB+ risiede nell'aver voluto portare complessità in un settore che invece fa della semplicità la sua caratteristica migliore. La radio FM permane nella nostra quotidianità perché è semplice da gestire, la si riceve con apparecchi da pochi euro ed il segnale arriva anche nei posti più sperduti. La radio FM costa poco, è integrata nei nostri dispositivi, è pronta a viaggiare con noi, ci offre quella sensazione di tempo reale che lo streaming uccide, riesce ad essere locale o mondiale a seconda del momento. Ciò che il DAB promette di aggiungere probabilmente è marginale; vi interessa davvero la qualità del suono se ascoltate la radio dagli auricolari dello smartphone o da un misero speaker bluetooth? vi interessano davvero i servizi interattivi quando il grande vantaggio della radio è di poterne usufruire senza dover fissare l'apparecchio? Insomma rischia di essere il solito atto incomprensibile dell'ufficio complicazioni cose semplici.

A presto.