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Di word processor ed interfacce [39.03]

Scrivere "cose" è stato per molto tempo il pretesto perfetto per portarsi in casa un personal computer. Oggi bisognerebbe essere decisamente a corto di idee per usare questa scusa a meno che scrivere non sia il vostro lavoro o la vostra passione. Eppure c'è qualcosa che non va nei programmi di videoscrittura che usiamo tutti i giorni. Anche se non è per niente facile capire cosa.

Videoscrittura di forma o di sostanza?

Se chiedete ad un informatico di lungo corso di parlarvi di videoscrittura, molto probabilmente inizierà il suo racconto da WordStar, leggendaria applicazione nata negli anni '80 e precoce laboratorio di tante ottime idee. A proposito, se vi incuriosisce riscoprire gli standard di quegli anni date un'occhiata a cosa scriveva di WordStar la rivista MC Microcomputer sul numero 52 (p. 60). Dopo WordStar il regno della videoscrittura ha avuto solo altri due sovrani, prima con WordPerfect e poi con Multi-Tool Word, nome originale del software Microsoft poi divenuto più semplicemente Word. In questo lungo percorso il word processor ha subito molte evoluzioni diventando sempre più WYSIWYG ed arricchendosi di un numero sempre maggiore di funzioni.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Applicazioni sempre più elefantiache, lunghissimi elenchi di funzioni ed interfacce dispersive che tutto sembrano fare tranne che conciliare il processo di scrittura. In un certo senso i word processor attuali si sono specializzati non nella stesura del testo ma nella creazione di documenti, intendendo con quest'ultimo termine i tipici lavori d'ufficio: la lettera, il promemoria, la relazione. Sono cioè diventati strumenti di impaginazione per file che difficilmente superano la decina di pagine e che richiedono di essere presentati secondo canoni stilistici rigidi e formali. Poi ovviamente obtorto collo finiscono per essere utilizzati anche in altri ambiti, ma con la stessa sproporzione di risorse che si ha nel fare giardinaggio con un caterpillar.

Di tanto in tanto faccio il classico giro di prova sulle nuove versioni di LibreOffice e la prima immancabile sensazione che ne ricavo è di una interfaccia soffocante. Decine di icone tutte simili nei colori e nella grafica ammucchiate su due barre strapiene al punto da non rientrare nell'area visibile del monitor. Una sorta di ostentazione di completezza che sembra ignorare completamente i concetti di priorità delle funzioni e usabilità dello strumento. Certo le barre sono personalizzabili, ma è un passaggio in più che richiede all'utente una conoscenza più approfondita del software e delle sue caratteristiche. In OpenOffice (il programma che uso abitualmente) le cose vanno decisamente meglio con icone magari meno "moderne" ma più riconoscibili e di numero ragionevole. Ma si può fare meglio. Proprio in questi giorni, dopo anni di abitudini consolidate, ho nascosto le due barre degli strumenti predefinite di Writer sostituendole con una singola barra personalizzata con i comandi che davvero desidero avere sempre in vista. Ho poi rimosso altri elementi dell'interfaccia di dubbia utilità fino a riguadagnare spazio sufficiente e ridare centralità al foglio bianco su cui scrivere. Alla fine dei conti, non ha senso che alcune funzioni siano costantemente presenti ad intasare l'interfaccia quando il loro uso è sporadico anche all'interno di uno stesso documento. Il piè di pagina lo si imposta una volta sola, dopodiché viene replicato in ogni pagina; non c'è ragione di avere sempre il suo pulsante in vista quando al bisogno lo si può attivare da un menù.

Il problema è sempre lo stesso. Writer come Word e come molti altri emuli è un software ad ampio spettro progettato per coprire una infinità di esigenze che vanno dalla ricerca scolastica al paper scientifico. In questa ottica il singolo utente avrà bisogno di un piccolo sottoinsieme delle funzioni disponibili ma dovrà sorbirsi l'intero pacchetto per logiche commerciali o di semplice compatibilità. Non se ne esce facilmente a meno di non prendersi la briga di fare in prima persona lo sfoltimento necessario, senza tuttavia eliminare la sgradevole sensazione di non proporzionalità tra il fine da ottenere e lo strumento da utilizzare.

La via del markdown

Sollevare le questioni appena citate difronte ad un "adepto" di Linux o peggio di GNU si trasforma quasi immancabilmente in una tortura medievale. Nelle diverse occasioni in cui ho commesso l'errore di partecipare a simili dibattiti ho incontrato le più irrazionali delle risposte:

Ora, a parte la prima, ognuna di queste posizioni ha un suo fondamento ma anche innumerevoli debolezze. Emacs o Vim hanno un livello di usabilità risibile, sono buoni solo per gente con le dita snodate e soprattutto producono di base file dalla formattazione elementare. LaTeX è peggio che andar di notte al punto da trasformare l'esperienza della scrittura in una forma di programmazione contorta. Ha i suoi ambiti di applicazione, per carità, ma suggerirlo come strumento general purpose evidenza chiare tendenze masochistiche. L'editor di nicchia è bello finché i tuoi file restano nel tuo computer. Dopodiché sono solo disastri.

Ovviamente non sarò io a risolvere questa intrigata situazione. Non ne ho ne gli strumenti ne le intenzioni. Ma posso raccontarvi la mia attuale condizione di equilibrio. Tutti i documenti che richiedono impaginazione, grafica e formattazioni avanzate passano da OpenOffice. Per la scrittura in senso stretto invece ho optato per l'uso di markdown. Si scrive in semplice testo puro con pochi ed intuitivi codici che permettono di ottenere gli effetti di formattazione di base come il grassetto, il corsivo, gli elenchi puntati, i link e simili. Il flusso di lavoro è veloce ed è indipendente dal singolo programma. Questo articolo ad esempio nasce su Notepad++ personalizzato con il correttore ortografico ed un plug-in che converte a fine lavoro il testo markdown in HTML. Semplice, lineare e poco dispersivo. Per ora funziona.

Alla prossima.

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